Chissà se la Cgil del Friuli Venezia Giulia si è accorta del forte tasso di disoccupazione presente in questa regione e del comportamente quasi schiavista adottato da alcune grandi aziende e cooperative di pulizie nei confronti dei propri lavoratori. Il documento programmatico del Gay Pride regionale contiene istanze precise: dall’abrogazione dell’articolo 4 della legge 40 del 2004 per consentire l’accesso alla procreazione medicalmente assistita «a tutte le persone, singole o in coppia, indipendentemente dall’identità di genere e/o dall’orientamento sessuale», alla richiesta di avviare «un dibattito laico e informato sulla gestazione per altre persone», arrivando fino alla regolamentazione del sex work, il diritto all’identità di genere compresa la garanzia dell’alias da poter utilizzare nella pubblica amministrazione. Il manifesto chiede inoltre l’abolizione dell’Iva sugli assorbenti e la depenalizzazione della coltivazione e dell’uso personale della cannabis. Ma i temi più controversi sono altri, come l’invito a Regione, università ed enti locali, a prendere posizione sul genocidio che è in atto» in Palestina, e la denuncia di come «la risposta a tutte le forme di dissenso, comprese quelle pacifiche e non violente, sia l’uso estremo della violenza da parte delle forze dell’ordine». Università, Regione Fvg e i Comuni di Pordenone, Trieste, Gorizia e Lignano Sabbiadoro hanno negato il fazioso patrocinio. Tony Scalzo deva ancora decidere anche se sarebbe un passaggio non da poco, per lui, passare dai piedi scalzi ai tacchi a spillo. Imbarazzante e offensiva per i tanti padri di famiglia disocuppati, invece, l'adesione al Gay Pride Fvg della Cgil, passata dalla bandiera rossa alle piume rosa.