Pubblichiamo, qui di seguito, una lettera che ci è giunta da alcuni docenti dell'Università di Udine; per tutelare la libertà di espressione dei docenti abbiamo garantito che i loro nomi sarebbero rimasti secretati. Lo scenario è inquietante:
Qualcuno si è scandalizzato per il post del 21/09/2023 intitolato “La Regione Fvg affida al laboratorio Danieli il parere sull'acciaieria a San Giorgio di Nogaro” nel quale si sospetta una posizione filo-Danieli da parte del prof. Marco Petti (vedi foto), responsabile degli studi idrodinamici commissionati, dalla Regione FVG, all’Università di Udine. Ma, per il prof. Marco Petti, l’orientamento filo-confindustriale non può essere considerato un sospetto ma piuttosto l’evoluzione naturale della sua carriera all’Università di Udine. Va precisato, prima di tutto, che i risultati estremamente rassicuranti del suo studio (l’approfondimento a -9,6 metri del canale lagunare per trasportare, su grandi navi, le materie prime e l’acciaio prodotto dalla ipotizzata acciaieria Metinvest-Danieli, non risulta impattante nonostante l’enorme quantità di materiale si vada a movimentare, con il dragaggio, sui fondali), hanno dato avvio ad una “narrazione” del tutto favorevole alla realizzazione dell’acciaieria Metinvest-Danieli. Gli esiti di tale studio, nonostante siano riferiti a un solo parametro ambientale (l’impatto idrodinamico), sono stati, cioè, usati politicamente ben oltre ogni comprensibile logica partigiana, dai vari supporters filo-Danieli, per sostenere che l’acciaieria non solo non è impattante ma potrebbe essere quasi un elemento di valorizzazione del delicatissimo ambiente lagunare. Non si vuol qui sostenere che tali risultati siano stati intenzionalmente manipolati quanto, piuttosto, che il risultato del parametro studiato dal gruppo di Petti, sia stato enfatizzato e sovrastimato oltre misura da certa stampa (senza smentite da parte degli interessati) ma anche dall’attribuzione, a priori, di un ruolo “terzo” all’Università di Udine che andrebbe, invece, per le ragioni che portiamo di seguito, soppesato volta per volta. Va precisato infatti che l’Università è, ormai da tempo, naturalmente portata a sostenere gli interessi confindustriali. Le aziende di confindustria (e non solo queste, ovviamente), infatti, finanziano progetti di ricerca, borse di studio e di dottorato, master ecc; danno visibilità e lustro a professori e corsi di studio; favoriscono carriere. Tutto legittimo! Ma è altresì inevitabile, allora, che la terzietà vada a farsi benedire perché l’Università, come istituzione (non i singoli professori) è, a sua volta, portata a dimostrare una certa attenzione nei confronti delle aziende finanziatrici. E’ stranoto, infatti (cfr. Rosso R., Morte e resurrezione delle Università, 2018), che l’Università in generale -e quindi anche quella di Udine-, da almeno una ventina d’anni, hanno cominciato a finanziarsi fortemente anche sul mercato privato e anche, quindi, a dover poi dar conto della loro capacità di restituire “servizi”, in maniera diretta e indiretta, ai finanziatori. Nel caso di UniUd, non si contano, sulla stampa, gli articoli e le foto dei rettori con i vertici di confindustria! E’ una convergenza di interessi del tutto legittima, sia chiaro, ma diventata talmente “sistemica” da portare spesso anche a forme di auto-censura inconsapevole se non altro i ricercatori, diciamo, più sensibili. Questo orientamento fortemente filo-aziendale e neo-liberista è stato fortemente impresso, all’Università di Udine, in particolare dal Rettore Aberto F. De Toni, professore di gestione aziendale, fin dalla scelta, all’inizio del suo mandato, di Massimo Di Silverio a suo Direttore generale (poi riconfermato dal suo successore prof. Pinton e tuttora in carica) il quale veniva da una lunga carriera di top manager di grandi industrie italiane. Il prof. Petti, nell’ultimo decennio, ha sempre fatto parte, a pieno titolo, dei vertici dell’Università di Udine e sempre con importanti incarichi di direzione (in particolare come direttore di dipartimenti). In tale veste si è occupato, in particolare, dell’attuazione del Piano Strategico d’Ateneo voluto da De Toni nel 2015 che prevedeva, tra l’altro, una forte centralizzazione dipartimentale e, a tal fine, la chiusura forzata dei Dipartimenti che ostacolavano tale centralizzazione. Il prof. Marco Petti e l’omologo prof. Gaetano Russo hanno quindi ubbidientemente “chiuso” i loro dipartimenti -orientati alle scienze territoriali in senso multidisciplinare- portando i loro componenti, in ordine sparso e sottomessi, dentro il mega-dipartimento comandato dagli ingegneri industriali di De Toni (il tutto in maniera perfettamente corretta grazie alla copertura formale assicurata dal Direttore generale dott. Di Silverio). Il prof. Petti è stato ricompensato per questo servizio – che, va ricordato, ha dato prestigio alla sua figura ma ha privato, da allora, il territorio regionale di un supporto conoscitivo multidisciplinare – diventando Direttore del nuovo dipartimento tecnologico-industriale. Da allora (2016), quindi, il prof. Petti, non solo non ha potuto dedicare molto tempo all’aggiornamento scientifico, dato il nuovo impegnativo incarico gestionale, ma ha operato in totale sintonia con i desiderata di De Toni e la cultura aziendalista rappresentata da questo (notoriamente inserito in numerosi consigli di amministrazione -e persino Presidente di Telefriuli- anche quando ricopriva cariche pubbliche accademiche teoricamente super partes). Come si può pensare, quindi, che l’Università di Udine e il prof. Marco Petti, possano essere credibili soggetti “terzi” nella vicenda dell’acciaieria?