La notizia era riportata da vari quotidiani internazionali e da Il Manifesto nel luglio 2022: Forse oggi, quando l’associazione Italia Birmania insieme un’audizione in Senato ne sapremo di più ma per ora è nebbia. C’è infatti un piccolo giallo che riguarda un’importante azienda italiana che opera in Myanmar da diversi anni e che sembrerebbe aver chiuso le attività dopo il golpe per riaprirle registrando nuovamente lo stesso brand. Un giallo perché guardando le fonti aperte, risultano in effetti due indirizzi a Yangon (Aye Yeik Thar 1 Street e Pyi Thar Yar St) che sono distanti una passeggiata di 15 minuti a piedi nel centro dell’ex capitale. Il mistero si infittisce quando chiediamo lumi all’azienda – la Danieli – che ci risponde laconicamente che a breve fornirà un chiarimento. Mai arrivato. Il giallo aumenta guardano la lista Danieli delle sue sussidiarie in Asia: nessuna sede risulta in Myanmar. La Danieli, colosso nazionale dell’ingegneria, della robotica e del settore minerario è una multinazionale con sede a Buttrio (Friuli) ed è una delle leader mondiali nella produzione di impianti siderurgici. Con qualche miliardo di fatturato, quotata in borsa, è una società che non nasconde la velleità di posizionarsi tra le prime aziende italiane del settore. Il fatto è che ci sono una serie di strane coincidenze su cui sarebbe stato utile avere chiarimenti dall’azienda. A fine agosto 2021, a sette mesi dal golpe militare di febbraio, il capo dell’esercito e del governo generale Min Aung Hlaing annuncia la riapertura dell’acciaieria Myingyan. Circa un mese dopo, il 24 settembre, pur avendo già una filiale in Myanmar, Danieli registra una nuova società estera nel Paese con un nome che poco si discosta dal brand della vecchia (che sembrerebbe inattiva essendo il Myanmar sottoposto a sanzioni). Qui sta l’interrogativo. È insolito per un’azienda già registrata tirarne in piedi un’altra nello stesso posto. Le voci raccolte tra la dissidenza birmana sostengono che il governo militare non possa aprire l’acciaieria di Myingyan senza l’assistenza di Danieli, che possiederebbe competenze e attrezzature nel sito in questione. Ma veniamo ai giorni nostri è al nuovo scoop pubblicato da Il Manifesto nella giornata di ieri e ripreso da vari siti internazionali ma ovviamente taciutodalla stampa locale. Il business con i golpisti non si ferma: l’accordo con la società udinese, che secondo fonti della resistenza era in possesso del software per far ripartire l'impianto, sarebbe cosa fatta. Tre tecnici con le tute nere e arancione (vedi foto) dell’azienda italiana Danieli ricevono un regalo in un’acciaieria birmana dalle mani di un gentiluomo con gli occhiali in camicia azzurra. Ma non si tratta di un signore qualsiasi. È il capo della giunta militare birmana Min Aung Hlaing, l’artefice del golpe che ha rovesciato Aung San Suu Kyi e il suo esecutivo nel febbraio di due anni fa, scatenando una guerra che, secondo alcune stime, avrebbe ormai oltrepassato i 30mila morti. Una guerra dove il livello della violenza non ha molto da invidiare a scenari come quelli ucraini.
Nel novembre 2021, giornata di elezioni semi-libere nella “democrazia disciplinata” birmana, Min Aung Hlaing, Comandante in Capo delle Forze Armate del Myanmar, si impegnò ad accettare il voto popolare e i risultati del voto. Meno di tre mesi dopo, però, un colpo di stato guidato dai militari ha portato all’arresto di Aung San Suu Kyi, leader del partito risultato vincitore alle elezioni, alla dichiarazione dello stato di emergenza e alla nomina del Comandante a Presidente del neocostituito Consiglio di Amministrazione dello Stato.
CHI E' IL GENERALE MIN AUNG HLAING: La Lega Nazionale per la Democrazia (LND), uscita vittoriosa dalle elezioni del 2015 (le prime libere dal 1990 dopo il primo tentativo “controllato” del 2010), dovette quindi scendere a patti con il generale, che, negli anni successivi, si presentava accanto ad Aung San Suu Kyi negli eventi ufficiali e instaurava relazioni con dignitari stranieri. La violenta repressione della minoranza musulmana dei Rohingya, nel 2016-2017, gli costò un’accusa di genocidio da parte del Consiglio ONU per i diritti umani ma aumentola sua popolarità presso la maggioranza Buddista. Prima di essere bloccato da Facebook, il suo profilo attirava centinaia di migliaia di likes e Min Aung Hlaing si era persuaso che avendo accesso alle “giuste informazioni” le persone avrebbero capito che l’esercito difendeva “i loro interessi”.